ARTICOLO 6
Nell’espletamento delle sue funzioni lo psicologo forense utilizza metodologie scientificamente affidabili (art. 5 C.D.; art. 1 C.N.). Nei processi per la custodia dei figli la tecnica peritale è improntata quanto più possibile al rilevamento di elementi provenienti sia dai soggetti stessi sia dall’osservazione dell’interazione dei soggetti tra di loro.
ARTICOLO 7
Lo psicologo forense valuta attentamente il grado di validità e di attendibilità di informazioni, dati e fonti su cui basa le conclusioni raggiunte (art. 7 C.D.; art. 1 C.N.). Rende espliciti i modelli teorici di riferimento utilizzati (art. 1 C.N.) e, all’occorrenza, vaglia ed espone ipotesi interpretative alternative (art. 5 C.N.) esplicitando i limiti dei propri risultati (art. 7 C.D.). Evita altresì di esprimere opinioni personali non suffragate da valutazioni scientifiche. Nei casi di abuso intrafamiliare, qualora non possa valutare psicologicamente tutti i membri del contesto familiare (compreso il presunto abusante), deve denunciarne i limiti della propria indagine dando atto dei motivi di tale incompletezza (art. 3 C.N.).
ARTICOLO 8
Lo psicologo forense esprime valutazioni e giudizi professionali solo se fondati sulla conoscenza professionale diretta, ovvero su documentazione adeguata e attendibile. Nei procedimenti che coinvolgono un minore è da considerare deontologicamente scorretto esprimere un parere sul bambino senza averlo esaminato (art. 3/3 C.N.) (artt. 3/1, 3/2 C.N.).
NOTE: C.D. è il Codice Deontologico degli Psicologi; C.N. è la Carta di Noto del 1996. L'ultimo aggiornamento della Carta di Noto è quello del 2011.